STORIE

Che fine ha fatto il caviale del Po?

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Che fine ha fatto il caviale del Po?

Una particolare lavorazione delle uova di storione, con attenzione alla salatura, produce uno dei più noti status symbol della tavola, il preziosissimo e nobile caviale. Con il suo gusto delicato e inconfondibile, il caviale in purezza è utilizzato ormai nelle cucine di tutto il mondo ma si tende ad attribuire il merito della sua diffusione all’Est Europa. 

Eppure, una storia quasi dimenticata, che si colloca tra il folklore popolare e le abitudini aristocratiche, narra che la ricetta del caviale sia stata inventata da un ferrarese attorno alla seconda metà del 1500; si tratta di un ferrarese illustre, che forse avrete già sentito nominare per i suoi fondamentali contributi alla tradizione culinaria cittadina: Cristoforo da Messisbugo, celebre chef di corte per la famiglia estense. 

Ci collochiamo dunque nella seconda metà di XVI; Ferrara era all’apice della sua gloria sotto il nome degli Estensi. Messisbugo era vanto della famiglia regnante, necessario per sbalordire gli ospiti con una cucina creativa, scenografica e innovativa. L’ estro dello chef ante litteram non passava di certo inosservato e la sua fama gli permise di diventare una voce così autorevole nel suo campo da richiedere diffusione scritta. Nel suo ‘Libro novo nel qual si insegna a far d'ogni sorte di vivanda’, edito a Venezia nella seconda metà del ‘500, il grande chef descrive questa preparazione intitolata proprio “Caviaro per mangiare fresco e per salvare”:

PREPARAZIONE


Piglia l’ova dello storione, e come sono nere sono migliori; e distrigale su una tavola con la costa del coltello nettandole bene da quelle pellegate, e pesale, e per ogni libbre 25 d’uova, gli ponerai oncie 12 e mezza di sale, cioè oncia mezza per libbra d’uova.

Poi le ponerai in un vaso con il sole e le lascerai così per una notte. Poi averai un asse nuova, pulita, longa piedi tre e larga piedi uno, colle sponde di legno intorno inchiodate, alte tre buone dita. Poi piglierai le dette uova e le ponerai su la detta asse.
E le ponerai nel forno che sia onestamente caldo, per spazio di due pater nostri, poi le caverai fuori e le mescolerai molto bene con una palettina di legno e le ponerai un altra volta in forno, lasciandogliele come detto sopra.
E andrai così facendo sino a che seran cotte; e questo serà quando le uova non schiopparanno sotto il dente, e che saranno mancanti quasi il terzo.
E bisogna bene avvertire a questa cottura, perchè per conservarlo un anno o due farai di questa maniera: lo porrai in vasi di pietra bene invitriati, con un poco di olio sopra, in loco fresco. E quando serà gran caldo, per ogni vinti giorni bisognerà levargli quella telarina che darà di sopra: e gli aggiungerai un poco d’olio.
E come non serà caldo, bastarà riguardarlo ogni due mesi.
In quello che vorrai mangiare fresco, che è ottimo, gli porrai solamente un terzo d’oncia di sale per libbra d’uova, oncia una e mezza di pevere ammaccato per ogni peso d’uova.
E questo pevere non si pone in quello da salvare perché lo fa rancido; ponendoglielo maccato però, ghe ne potrai mettere oncia mezza di pesto per peso, e ponendoglielo col sale, quando salirai le uova.

La ricetta di Messisbugo venne dimenticata pian piano dopo la caduta degli estensi, ma la pesca allo storione restò in voga sul territorio ferrarese e la storia del caviale in città non termina di certo qui...

Popolavano gli argini del Po moltissime comunità di pescatori, tra Veneto ed Emilia, fino al Delta. Di bocca in bocca, tra la gente di fiume correvano storie ai limiti della credibilità che vedevano protagonisti i giganti del Po, domati da uomini senza timore con reti e strumenti artigianali. Si raccontava di pesci che senza fatica potevano raggiungere i 2 metri di lunghezza per 100 kg di peso, ma anche di qualche esemplare di 6 metri per mezza tonnellata. Un duello che il pescatore poteva non essere in grado di vincere.

La nostra storia si sposta in via Mazzini, al centro del ghetto ebraico, sull’angolo tra via Vignatagliata e via Vittoria. Qui si collocava una piccola bottega di alimentari celebre per la produzione di caviale, la bottega di Benvenuta Ascoli, detta la Nuta. La Nuta conservò l’antica ricetta medievale tramandata di cucina in cucina fino al 1941, anno in cui purtroppo morì senza eredi poco dopo l’emanazione delle leggi razziali. L’attività fu rilevata dal suo garzone, Adolfo Bianconi, che fortunatamente aveva imparato i segreti del mestiere. Da “bottega con specialità ebraiche”, il negozietto divenne “rosticceria” nel 1945 e passò nelle mani della moglie di Adolfo, Matilde Pulga, detta Tilde. Proprio la Tilde consegnò la ricetta originale del caviale della Nuta, incredibilmente aderente all’originale di Messisbugo, al Centro Etnografico Ferrarese. 

Pesca dello storione a Ferrara

Pesca dello Storione a Ferrara

Purtroppo, pochi anni prima della rivelazione della Tilde, la Sima – società che verrà acquisita in seguito dall’Enel – aveva realizzato sul Po la Diga di Isola Serafini. Fu la diga – e quindi l’industrializzazione - a determinare la scomparsa del rinomato caviale impedendo la normale migrazione degli storioni: i pesci restavano bloccati nel ramo del Po delimitato dalla diga, senza riuscire a risalire il fiume verso le montagne, per arrivare dove l’acqua è più ossigenata e riprodursi. Le piccole comunità di pescatori di storione, isolate nel Delta, subirono un duro colpo; il loro stile di vita, già duro e selvaggio, divenne man mano sempre più miserabile e le comunità scomparirono lentamente. La vicenda fu ben descritta da un film di Renato Dall’Ara, Scano Boa, del 1961.

Oggi non resta più nulla delle comunità di pescatori tra Stellata, Berra e Scano di Boa, e l’ultimo storione fu servito in tavola dal noto ristorante Tassi, a Bondeno, negli anni ’70. Nessuna notizia del gigante del Po da allora. Sparì così il pesce leggendario che aveva contribuito a garantire il benessere a intere famiglie di pescatori, aveva ispirato narrazioni fantastiche, aveva dato il via a vere e proprie ‘battute di caccia’. Il caviale del Po ci regala una storia quasi dimenticata capace di legare le tradizioni dei nobili medievali più stravaganti alle professioni più umili del’900.

Fortunatamente alcuni recenti progetti europei, come il Progetto Cobice Life (2004) e il Progetto Storione Cobice (2018), si stanno occupando di reintrodurre progressivamente popolazioni di storioni mediterranei nelle acque del Po e dei suoi affluenti. Per quanto riguarda la sciagurata diga di Isola Serafini,  nel 2017 è vi stata inaugurata una scala di risalita dei pesci che permetterà finalmente, dopo più di 60 anni, la migrazione riproduttiva delle specie ittiche nell’alto corso del fiume. 

pesca dello Storione a Ferrara

In coda alle vicissitudini del maestoso e raro pesce che rese Ferrara città del caviale sembra esserci una speranza rivolta al futuro: a noi il compito di tramandare questa bella storia per mantenerla viva!